“AgriFuturo: coltivare resilienza” è stato il tema, questo pomeriggio, di un incontro organizzato alla Camera di Commercio di Ferrara-Ravenna dall’editoriale SAE, che pubblica la Nuova Ferrara, le Gazzette di Modena e Reggio, Il Tirreno e La Nuova Sardegna, al quale hanno partecipato, con il sindaco di Ferrara Alan Fabbri, l’assessore all’agricoltura del Comune estense Matteo Fornasini e i rappresentanti ferraresi di Coldiretti, Confagricoltura e CIA, il presidente di Fruitimprese Marco Salvi, il presidente di CSO Italy Paolo Bruni e il presidente di Nomisma Paolo De Castro, mentre l’europarlamentare Stefano Bonaccini, già presidente della Regione Emilia-Romagna, ha svolto le conclusioni.
Nel suo intervento il presidente Bruni ha sottolineato le grandi sfide che il settore agricolo e nello specifico dell’ortofrutta, di cui Ferrara è una delle capitali nazionali, ha di fronte. L’agricoltura è vittima del cambiamento climatico – ha messo in chiaro Bruni – ma ha molte carte da giocare, proprio a tutela dell’ambiente, investendo in ricerca, innovazione e tecnologia.
A partire da sinistra: Davide Berti (La Nuova Ferrara), Stefano Calderoni (CIA), Marco Salvi (Fruitimprese), Paolo Bruni (CSO Italy), Federico Fugaroli (Coldiretti), Paolo De Castro (Nomisma) e Francesco Manca (Confagricoltura)
Dal 2019 ad oggi – ha ricordato il presidente di CSO Italy – è successo di tutto: il cambiamento climatico ha diminuito la produttività, diffondendo anche parassiti, insetti alieni e malattie; abbiamo avuto la pandemia; sono scoppiate due guerre; la minaccia dei dazi di Trump, per non parlare della demagogia ambientalista.
I dati parlano chiaro: dieci anni fa l’Italia produceva circa 6 milioni di frutta fresca, negli ultimi quattro anni, se facciamo la media delle produzioni, siamo sui 4.7 milioni di tonnellate, ma con annate, quella del 2021 e quella del 2023, dove siamo scesi rispettivamente sui 4,2 e 4,5 milioni di tonnellate. Le superfici sono rimaste pressoché costanti sui 440.000 ettari, quindi c’è un problema di produttività e quindi di redditività.
Se entriamo nello specifico di alcune colture – ha precisato Paolo Bruni – si rende ancor meglio l’idea. Per le pere l’Italia primo Paese europeo aveva un potenziale produttivo di 750 mila tonnellate, nel 2023 la produzione nazionale non è arrivata alle 200 mila tonnellate con perdite a ettaro superiori a 10 mila euro. Un crollo vero e proprio. Oggi, anche nelle migliori condizioni, difficilmente saremo in grado di raggiungere le 500 mila tonnellate. Nella provincia di Ferrara erano 8.700 gli ettari a pere nel 2018, sono 4.300 oggi.
Le cose non sono andate meglio per il kiwi verde. Causa moria, ma anche mancanza di ore di freddo invernale, il nostro Paese, che nel 2015 aveva prodotto oltre 500 mila tonnellate, negli ultimi quattro anni in media ha prodotto intorno alle 200 mila tonnellate.
“Non sono che alcuni esempi. È chiaro – ha incalzato Bruni – che la mancanza di produzione incide soprattutto sulle tasche degli agricoltori che sono il fondamento dell’economia agricola, senza i quali niente esisterebbe. E quando la produzione scende scendono anche i consumi: nel 2022 e nel 2023 abbiamo assistito ad un calo dei consumi mai visto in precedenza, -15%, -800.000 tonnellate. Inevitabilmente c’è stato maggiore spazio per le importazioni. Niente di male in un mercato globale come quello attuale, dove i flussi non si possono ostacolare, ma si deve poter mangiare prodotto coltivato con le stesse regole con cui si produce in Italia, per un fatto di sana e corretta concorrenza ma anche e soprattutto per tutelare la salute dei consumatori, se questo deve essere il nostro obiettivo”.
L’analisi di Paolo Bruni è andata anche oltre: abbiamo perso quote di mercato nei mercati esteri almeno fino al primo trimestre del 2025.
Di fronte a tutto ciò cosa possiamo fare, si è chiesto il presidente di CSO Italy. Risposta: dobbiamo fare in modo che l’agricoltura, da vittima del cambiamento climatico ne diventi la soluzione.
“Pensiamo – ha concluso Bruni – all’adozione e alla messa in campo di pratiche agricole sostenibili come le TEA, all’agricoltura di precisione che permette di ottimizzare la gestione delle risorse, ridurre gli sprechi e migliorare la produttività. C’è un grande impegno verso la direzione di ottimizzare o meglio non sprecare l’acqua, risorsa fondamentale del nostro ambiente, con l’utilizzo di buone pratiche e attrezzature all’avanguardia. Purtroppo la drastica riduzione dell’uso di fitofarmaci è stata priva di discernimento: oltre 10 anni fa erano mille i principi attivi che si potevano utilizzare in Italia, oggi sono meno di 300! Senza un’alternativa, l’agricoltura non si regge. Oggi, per fortuna, cogliamo una certa discontinuità nella nuova politica europea rispetto alla demagogica posizione precedente, ma la situazione va monitorata nei fatti. Noi del CSO Italy siamo al lavoro, con i nostri partner e le aziende associate, per trovare le soluzioni”.